Il rock dal vivo – Tra viaggi, capelli bianchi e tanta stanchezza

“Andate a comprare l’album, ragazzi, devo costruire un altro parcheggio per l’elicottero”.
Una delle provocazioni di Noel Gallagher negli anni Novanta appartiene ormai al passato, e per le rockstar questa non è una buona notizia.

Per le star della musica negli ultimi trent’anni il mondo è cambiato più di quanto non sia mai successo da quando esiste un vero e proprio mercato discografico.
Con Internet la rivoluzione è ben servita. La vendita della musica è passata inevitabilmente in secondo piano, divenendo non più il centro del business, ma il mezzo per arrivare ad esso: sponsor, social media marketing, ed eventi live girano intorno alla musica (o in alcuni casi alla narrazione della stessa) divenendo il vero core-business del musicista del XXI secolo. In poche parole, si fa musica come “fare la giacca per vendere i bottoni.”

Una sfida intrigante per un’industria che nell’ultimo ventennio ha sfornato innumerevoli talenti della mediocrità, che però in alcuni casi hanno avuto il merito di riuscire ad attrarre sponsor e mercati (i bottoni della giacca) anche a costo di sfoggiare performance dal vivo (o in videoclip) da cinema soft hard.

Un bel problema invece per chi è più in là con gli anni, sia per sgambettare in maniera ammiccante, sia per convivere con i ritmi della musica dal vivo.

In particolare, è il problema delle rockstar del terzo millennio: soggetti spesso adulti, con un tenore di vita importante, famosi in tutto il globo e non per ultimo, estremamente sensibili, un problema nel problema.

Anno 2022. Durante il tour sudamericano tanto atteso dei Metallica, James Hetfield si è aperto con il pubblico prima di eseguire “Sad But True” durante lo spettacolo in Brasile, dichiarando: “Devo dirvi che non mi sentivo molto bene prima di venire qui fuori” questo solo poco prima di partire per un tour in Europa a giugno per poi rientrare nuovamente in America e chiudere il Lollapalooza a Chicago il 28 luglio; questo soltanto tre anni dopo essere rientrato ed uscito, ancora una volta, dal tunnel dell’alcol.

Se laggiù Hetflield ha rischiato grosso, il Sud America è risultato invece fatale a Taylor Hawkins, batterista dei Foo Fighters, scomparso proprio nel 2022 durante il tour sudamericano della band, con un test tossicologico preliminare che ha rilevato diverse sostanze nel suo sistema, tra cui oppio e THC, composto psicoattivo della marijuana. Hawkins era atteso per esibirsi al Festival Estéreo Picnic a Bogotá, in Bolivia.
E ora arriviamo ai giorni nostri. Nella data del 25 giugno all’Alcatraz di Milano, Corey Taylor, cantante, musicista, autore e attore statunitense, noto per essere il frontman degli Slipknot e degli Stone Sour, nel suo tour da solista ha ammesso di essere esausto.
I presenti hanno riportato sui social media il suo stato di esaurimento sfociato in un pianto liberatorio dopo aver ammesso che se non fosse stato per la moglie, oggi non sarebbe più dei nostri.
Taylor tra sei mesi sarà di nuovo in tournee con gli Slipknot, e forse sei mesi fa era dall’altra parte del pianeta. L’anno prossimo per assurdo potrebbe stare in un altro fazzoletto di mondo: si tratta di gente che non vede casa per mesi e mesi, a volte anche per anni.

Problema personale o convenzionale? Nessuno può stabilirlo con certezza assoluta, o forse si.
La tesi (How Rock Stars Stay Healthy On Their Never-Ending Business Trips (forbes.com)) trova fondamenta anche in una analisi nel 2015 da parte della dottoressa e medico naturopata Gabrielle Francis, che dopo anni al fianco dei musicisti in tournee, ha analizzato la loro inclinazione verso forme d’ansia, solitudine, insonnia, e quindi convivenza con sostanze psicotrope: “Circa il 50-60% degli artisti con cui ho lavorato e con cui lavoro ancora sono in fase di recupero, ma per quelli che non lo sono, a volte abbiamo a che fare con i postumi di una sbornia la mattina dopo la festa“.

Tutto normale per una rockstar? Può darsi. Fatto sta che le stelle del rock del terzo millennio stanno sbiadendo, hanno ormai almeno cinquanta anni, spesso una vita complicata e la forte necessità di mantenere un tenore di vita all’altezza delle proprie aspettative.

Insomma, le rockstar di oggi non sono più dei ragazzini e soprattutto, a dispetto di buona parte degli idoli pop dei nostri figli, non si devono spostare soltanto all’interno dei confini nazionali (poiché questi all’estero non godono di grande appeal), e non godono di ricambio generazionale, per complesse ragioni di mercato e perché quell’industria che li ha fatti crescere negli anni d’oro della musica acquistata, oggi non conosce più ragioni ed etica.

Questi ritmi sono insostenibili, ed è in parte anche per colpa nostra, o meglio del mercato.
L’industria discografica dovrebbe tornare alla vendita dei dischi anche per il bene di gente come Taylor, Hetfield e tutti coloro che all’oscuro, lontano dai palchi di mezzo mondo, soffrono stanchezza, lontananza e solitudine.

Quindi, al di là del fumo negli occhi venduto dalle piattaforme streaming, in alcuni casi con la compiacenza di alcuni organi di settore (vedesi l’entusiasmo sullo streaming espresso dalla FIMI nella figura di Enzo Mazza  https://www.rockit.it/articolo/fimi-gli-artisti-che-riescono-guadagnare-grazie-allo-streaming-sono-sempre-piu) lo streaming non paga, o comunque lo fa male e non in maniera equa, come ribadito a chiare lettere anche dall’ Unione Europea ‘https://www.hdblog.it/mercato/articoli/n577526/ue-piattaforme-streaming-pagamento-artisti)

Cosa possiamo fare?

Per adesso ben poco, se non chiedere a gran voce all’industria discografica di tornare a fare impresa mettendo al centro la qualità dei dischi, per evitare che gli artisti più fragili in tournee non cadano a terra come mosche.
E anche per consentire a geni come Noel Gallagher di continuare a costruire parcheggi per elicotteri, senza il rischio di rimetterci le penne.

 Articolo di Giancarlo Caracciolo

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